martedì, agosto 29, 2006

Il demonio veste Prada (@imdb)


Divertente come un sabato pomeriggio di shopping durante i saldi.

Meryl Streep è Miranda, impietosa clone di Crudelia de Mon ed autorità suprema in importantissima rivista di moda che non viene chiamata Vogue, immagino, per questioni di diritti e per il fatto che Vogue non voglia essere dipinta come rivista diretta da un'altezzosa egomaniaca che se il narcisismo uccidesse starebbe a contar radici da un gran pezzo.


Anne Hathaway è Andy, dolce ragazza della porta accanto (+ tette grandi) tutta acqua e sapone e sane ambizioni. Per cominciare a coronare il suo sogno di diventare giornalista, si ritrova alle di dipendenze della dispotica Miranda in un luogo in cui le scarpe sono tutto e le segretarie sembrano top model (in effetti una di loro è intepretata dalla morosa a mesi alterni del Di Caprio Giselle Bündchen).


Sul principio Andy cerca di fare resistenza passiva alla futilità dell'ambiente in cui si muove, in fondo lei ha più alti valori e principi. Poi, dopo un paio di settimane al massimo, si trasforma in modo repentino una fashion addicted in fase terminale, tanto la roba gliela danno a gratis. In un ambiente in cui una cocainomane isterica che ti infila una forchetta nel dorso della mano viene considerata gentile perchè almeno non t'ha cavato un occhio, i modi civili di Andy cominciano, col tempo, a venir apprezzati e lei si trova a muovere i primi passi nella giusta direzione.


Purtroppo il prezzo da pagare è l'alienazione dai suoi vecchi amici, meno di una manciata invero, ed in particolare con il suo ragazzo dal look grunge e dal tenebroso fascino del cagacazzo convinto di saperne perennemente una più di Bertoldo. In piena filosofia della y generation costoro tollerano male chi spende il tempo a fare il workaholismo invece di consumarsi in infiniti pomeriggi a discutere di feng shui e celestini.

Inutile dire che ora della fine del film tutto volgerà più o meno al meglio e tutti saranno più buoni e felici.

Questo film è un po' deboluccio. Meryl Streep è, come al solito, convincente, ma il suo è un ruolo solo di supporto e il film si trova a ruotare attorno alla figura di Andy che ha lo spessore psicologico di un cecio e che sembra uscito da uno di quei film fatti per i bambini nella convinzione che i bambini siano tutti sempre deficienti.


La camera indugia spesso e volentieri sui giganteschi occhioni scuri della Hathaway, che, se necessario, si colmano di lacrime, ed è superficiale su quello che sono vestiti ed accessori. Cose, quest'ultimi, che in realtà dovrebbero avere un ruolo assai più importante visto che il film vorrebbe raccontare di come una persona che se ne riteneva immune scivoli nel baratro della fashion addiction.

Valutazione: ***

lunedì, agosto 28, 2006

Thank you for smoking (@imdb)


Thank you for smoking è un film divertente e che va giù in un sol boccone.

In sostanza un one man show ruotante attorno alla figura di Nick Naylor (Aaron Eckhart, già buono generico in film di basso calibro come The Core, o cattivo con stile in film di calibro giusto un pelo superiori come The Paycheck), di professione portavoce della lobby del tabacco, il film racconta di una manciata di giorni di quella che dovrebbe essere le quotidianità di Nick.

L'industria del tabacco traballa sull'orlo della crisi di nervi, il salutismo imperversa, azioni legali di massa corrono per il paese, e nell'immaginario collettivo il fumo non è più parte integrante dell'allure della gente che piace. Ed ecco dunque Nick barcamenarsi tra talk show con ragazzini malati di cancro, agenti di Hollywood in crisi di identità (un piuttosto brillante Rob Lowe, tanto d'una volta non bistrattato da Mike Meyers) tramite i quali spera di ripiazzare la sigaretta in bocca non solo ai cattivi dei film, o a rendere visita al ormai morente cowboy della Marlboro prima version (il cowboy narrante de Il grande Lebowsky Sam Elliott). Nel contempo si trova a gestire un rapporto con suo figlio Joey (Cameron Bright, già inquietante bimbo di Godsend) in sé più che buono ma che deve fronteggiare tanto l'acidità della madre/ex-moglie quanto il fatto che Joey cominci a porsi delle sincere domande su quanto sia giusto o sbagliato.

È facile immaginare che ad essere il portavoce dell'industria del tabacco si rischierebbe di venirne fuori maluccio da un concorso di popolarità. Ed in effetti la cerchia di amici di Nick si riduce ad un paio di altre persone che condividono con lui il fatto di essere il volto di industrie non automaticamente suscitanti le simpatie del grande pubblico: la rappresentante della lobby dei produttori d'alcool (Maria Bello, già propietaria del Coyote Ugly) e quello della lobby delle armi.

Nemesi di Nick, o aspirante tale, è il senatore Ortolan Finistirre (William H. Macy, ex bambino prodigio quizzista di Magnolia) il cui ridicolo nome ben si sposa con l'efficacia del suo operato, e che nell'intervallo di tempo raccontato dal film mira all'istituzione di una legge che obblighi che sui pacchetti di sigarette venga stampato, a ricordare di come il fumo uccida, un orripilantemente disegnato insieme di teschio e croce di tibie.

Nel tutto sommato quieto vivere dei personaggi sin ora descritti viene ad inserirsi l'aspirante giornalista Heather Holloway (la già scassapalle dagli occhioni tristi di Dawson Creek nonché neomamma dei figli virtuali di Tom Cruise, Katie Holmes) che dietro a sorrisoni smaglianti ed ammalianti nasconde intenti ben più crudeli.

Ruolo breve ma intenso è quello di Robert Duvall, nei panni di "The Capitan", gran patriarca dell'industria del tabacco, per il quale Nick è con una buona approssimazione il figlio che questi non ha mai avuto.


Il film, scritto e diretto da Jason Reitman, figlio di Ivan "Ghostbusters" Reitman, è scritto bene: brillante nei dialoghi ed evita elegantemente la trappola del buonismo moral/sentimentalista. Tutti i personaggi, bambini non esclusi, hanno al fondo una discreta base di cinismo e humor, ciò che permette loro di fare quello che fanno senza troppe remore ma anche senza particolari crudeltà d'intento. Il cast è appropriato e di ottima levatura, e questo detto gli ingredienti per un film almeno discreto ci sono tutti.
Messaggi profondi io non ne ho saputi leggere, il tutto è però intelligentemente divertente e ben confezionato, e Aaron Eckhart supera in modo convincente l'esame da protagonista che riesce trascinare per tre qurti del tempo la baracca tutto da solo.

Valutazione: ****