Frankie (Clint Eastwood) è un attempato allenatore di boxe sulla via dell'incartapecorimento, soprattutto interiore, e con qualche scheletro nell'armadio che gestisce una rugginosa palestra da occhi della tigre in una città da qualche parte negli Stati Uniti (azzarderei Los Angeles, visto che ad un tratto si parla di una trasferta in auto a Las Vegas).
Nel magazzino delle scope della palestra di Franke abita Eddie (Morgan Freeman) che dopo un'invero poco goloriosa come pugile si è riciclato come guardiano/portinaio tuttofare.
Fiore all'occhiello della palestra è Willie, possente ed in ascesa pugile, pupillo di Frankie, il quale ben presto si stufa della politica attendista del buon vecchio Clint, che sostanzialmente propone una gavetta infinita, e si accasa con un manager dal fare un po' più deciso che in breve tempo lo porta a diventare campione del mondo.
Con le pive nel sacco Frankie il burbero decide andare contro i suoi principi che voglione che le donne non debbano avere nulla a che fare con la boxe e si mette ad allenare Maggie, iperottimista ragazza pugile wannabe che da qualche mese si aggirava per la palestra implorande che qualcuno le desse un po' a trà.
Inutile dire che entro breve Maggie divene come una figlia per Frankie (il quale ha in effetti una figlia naturale che per mai ben menzionate ragioni non vede né sente da oltre una ventina d'anni) diventa l'astro nascente della boxe femminile, tanto che a breve si trova priva di avversari tanto da dover andare a combattere in una categoria superiore.
Nel pugliato Maggie trova il mezzo per affrancarsi dalla vita di stenti il cui nascere in una disastrata famiglia, quasi un archetipo del white trash, l'aveva condannata, nella sua ascesa verso il successo non manca di dimostrare di essere una persona di principi rifiutando di abbandonare Frankie per un manager più affermato; cerca anche di fare qualcosa per la sua famiglia acquistando una casa per sua mamma e sua sorella, ma queste sono davvero troppo trash per apprezzare il gesto.
Poi si consuma il dramma, durante l'incontro per il titolo la campionessa in carica, un'imporbabile tedesca orientale, ex-prostituta di Berlino est e dalle improbabili fattezze afro (che non ce l'avevano un atlante a casa del Clint quando hanno buttato giù la sceneggiatura?), la colpisce proditoriamente al collo durante la pausa tra due riprese e la combina su di un malamente che in confronto il Darth Vader era un bijou.
L'ultima parte del film è in sostanza l'agonia di Maggie, costretta nella versione moderna del polmone d'acciaio, con ferite da decubito su tutto il corpo, arti che vengono amputati, squallido parentado che cerca di portarle via i soldi, finché, palesemente stufa di contare le piastrelline sul soffitto della stanza di ospedale in cui ormai vive, chiede a Frankie di staccare la spina del macchinario che la tiene in vita.
Frankie, visibilmente messo in crisi da questa richiesta, si consulta con il particolarmente indisponente e cinico sacerdote la cui chiesa usa frequentare quotidianamente in cerca della redenzione. Il prete minaccia fuoco e fiamme e gli dice chiaramente che questa eutanasia non sa da farsi; quando però Maggie cerca di porre fine alla sua esistenza cagnadosi a sangue la lingua Frankie decide di spegnere i macchinari mettendo fine alle sue sofferenze, mentre il regista decide di chiudere il film mettendo fine alle sofferenze del a questo punto molto provato pubblico.
Il film che ha indubbiamente dei pregi, in primis quello di offrire delle performance non indifferenti di Clint Eastwood, Hilary Swank e Morgan Freeman di cui tutto si può dire salvo che siano gli ultimi arrivati e si può ben dire che le nomination non siano giunte per case, risulta un tantino indigesto (sul finale si ha questa agonia di Maggie che pare interminabile) e in un certo senso l'averlo visto è liberatorio perché fa si che uno non debba guardarlo in futuro.
In conclusione Million Dollar Baby è un film interessante il cui senso più profondo, oltre al permettere ai protagonisti di fare showoff del loro talento recitativo, mi è sfuggito e temo continuerà a sfuggirmi.
domenica, febbraio 27, 2005
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