lunedì, dicembre 19, 2005

Night Watch (@imdb)


Vampiri in una Mosca 2004 che ricorda una Los Angeles 2019.

Il film in questione dovrebbe essere il primo di una trilogia. Il soggetto, non dissimile da quello di Constantine, narra di due fazioni di vampiri, della luce, rispettivamente dell'oscurità, che raggiunta una tregua in una sanguinosissima guerra che rischiava di mettere a ferro e fuoco il mondo, si osservano e controllano a vicenda, nell'attesa dell'arrivo di un predestinato che nel suo prendere una delle parti determinerà l'esito della guerra.

Night Watch offre una fotografia ed un montaggio piuttosto aggressivi, effetti speciali ambiziosi, sebbene non sempre impeccabili (con un look tendente al fumettoso, qualcosa tra il Sin City, che è bene, e L'Immortel, che è meno bene), e un'ambientazione urbana post-sovietico/cyberpunk che fa tanto Kieslowski meets Gibson, un po' alla Avalon per intenderci. Fatto salva qualche sbavatura visivamente ci siamo, cosa non sempre scontata per una produzione russa.

A livello di costruzione della trama le cose non scorrono purtroppo altrettanto liscie come l'olio. La mia impressione è che si sia voluto/dovuto tagliare dritti a più riprese e comprimere oltremodo lo svolgersi degli eventi. Risultato: che i momenti topici siano tali ce ne si rende conto quasi solo a posteriori, il che, in una storia che parla di predestinazione e fato del mondo, è più di un peccatuccio veniale.

Forse l'aggiunta di una voce narrante avrebbe potuto aiutare, forse, più probabilmente non c'era il tempo materiale per costruire i climax necessari. Il feeling è in generale quello che si ha quando si vede un film che vuole essere compendio di una serie televisiva, e che finisce con l'essere pane per iniziati. Io iniziato alla vicenda non sono e temo quindi che di elementi importanti ne ho perso per strada più d'uno.

Come già accennato dovrebbe trattarsi del primo capitolo di una trilogia, indi per cui è lecito sperare che il meglio abbia ancora a venire, anche perché va riconosciuto come l'impalcatura per fare qualcosa di buono ci sia tutta.

Valutazione: *** (inclusa 1/2* di incoraggiamento)

martedì, dicembre 13, 2005

Narnia e simili

Di Narnia in sè parlerò quando avrò visto il film, questione di un paio di giorni, quello che mi ha incuriosito è che surfando per IMDB ho notato che il film veniva dichiarato di "nazionalità" USA. Ora il perché un film tratto da un romanzo Inglese, diretto da un neozelandese, con un cast per la maggior parte inglese più altri luoghi del commonwealth, girato in Nuova Zelanda, sia un film americano.

Ok, il film è prodotto dalla Disney, forse è questo che conta, ma se l'origine del finanziamento è ciò che effettivamente determina la nazionalità di un film allora tutti i film prodotti dalla Columbia dovrebbero dirsi giapponesi, e tutti quelli della Universal francesi.

Saranno dettagli, in fondo è che una fredda mattina di dicembre non può che stimolare la vena polemica di cui mai si è davvero privi.

mercoledì, novembre 16, 2005

FFVII - Advent Child (@imdb)

Il più che convincente Doom è solo l'ultima di una lunga serie di trasposizioni cinematografiche di videogame, e se Super Mario Bros era assolutamente inguardabile, Wing Commander lo si mandava giù perché uscito in anni in cui per la fantascienza era carestia, devo dire che tutto sommato Resident Evil e sequel mi sono genuinamente piaciuti. Da tanto peste e corna ne è stato detto non ho ancora osato addentare Alone in the dark, non foss'altro che perché in fondo in fondo Christian Slater mi piace è vorrei illudermi che Il nome della rosa non sia stato un caso e che True Romance non è solo uno sprazzo di luce in un'altrimenti declinante parabola.


Questo film in CG è una sorta di postfazione del videogame Final Fantasy 7, secondo tanti il più riuscito della serie, rispetto al quale è ambientato alcuni anni dopo e con il quale condivide i protagonisti.

L'ambientazione è, come già nel gioco, un misto di cyberpunk e di romanzo dell'arcadia, anche se in questo caso è la componente noir ad essere dominante.

Advent Child è frutto di una produzione ben più modesta rispetto al bislacco e ben più noto The Spirit within, forse una delle trasposizioni di videogame in film più controverse, la realizzazione è comunque di tutto rispetto, le coreografie (ignoro se il termine sia pertinente quando si parla di personaggi virtuali) di combattimenti ed inseguimenti sono in particolare davvero notevoli.

La storia è purtroppo piuttosto confusa, riprende le parti più mistiche di FF7 gioco, un po' alla finale di Akira per intenderci. Temo risulti completamente incomprensibile a chi non ci abbia giocato da cima a fondo riducendosi ad una sorta di spara e fuggi. Peccato perché il gioco aveva una grande storia, ma forse non è possibile ridurre qualcosa che si svolgeva su decine di ore di videogame ai 100 minuti di film. I principali personaggi del gioco fanno tutti capolino, molti di loro non vanno oltre il marcar presenza e sicuramente non contribuiscono alla fluidità della storia.

In breve, questo Advent Child sembra una sorta di esperimento riuscito al 80%, fruibilissimo, quasi imperdibile, per gli iniziati al finalfantasismo, forse indigesto per tutti gli altri.

Valutazione: ***(* per chi ha giocato a FF7 in modo più o meno estensivo)

mercoledì, novembre 09, 2005

Flightplan (@imdb)


Panic Room ad alta quota?

Jodie Foster è un ingegnere aeronautico (no, il "una ingegnere" urta troppo la mia sensibilità fonoestetica per poterlo usare), di nome Kyle, ma poco importa visto che non ci si dimentica che sia Jodie Foster neanche per mezzo secondo, che ha vissuto per anni a Berlino (le prime battute del film sono in tedesco, tanto che mi ero già messo a piacchiare chi aveva preso i biglietti pensando di essere finito ad una proiezione doppiata) dove a progettato un aereo che all'occhio somiglia tanto al A380 ma che di nome fa 8747 (giusto per non scontentare nessuno di qua e di là dell'Atlantico).


Jodie ha da pochi giorni perso il marito e stà rientrando negli Stati Uniti per dargli degna sepoltura (la salma fa parte del bagaglio). Con lei viaggia la figlia di sei anni, che visto che viene detto si sa essere sotto shock, anche se all'occhio di colui che nulla sa dei bimbi pare piuttosto normale.


L'aereo è capitanato da Sean Bean (tra le altre cose Boromir in Lord of the Ring, il Cowboy in The Big Empty, Ulisse in Troy, nonché cattivo in una non trascurabile quantità di blockbuster) tra le hostess si ha Erika Christensen (già andata ammale in Trafic e prima della classe che strippa male durante il SAT in The Perfect Score) mentre l'addetto alla sicurezza da post 11 settembre è Peter Sarsgaard (faccia da schiaffi omofoba in Boys don't Cry, faccia da schiaffi yuppie e bangante Denise Richards in Empire, faccia da schiaffi tossica in The Salton Sea e faccia da schiaffi di cui non ricordo il ruolo in Garden State).


Altri passeggeri comprendono famiglie rompipalle, arabi assortiti, all-american che si scagliano contro gli arabi assortiti alla prima occasione ma poi si scusano perché in fondo sono brave persone, e via dicendo.

Jodie si assopisce e quando si sveglia la figlia non c'è più. Si lancia alla ricerca e dapprima viene aiutata dall'equipaggio e ha sostegno e simpatia da parte dei passeggeri. Fin qui nulla che il trailer già non abbia svelato, e fin qui tutto bene, ciò che segue svela il resto della trama, quindi se non l'avete visto e ne avete l'intenzione fate attenzione. Gente avvisata mezza salvata.

Le ricerche procedono ma la bimba non salta fuori e a breve il capitano le fa sapere che da terra gli è stato comunicato che la figlia è in realtà morta assieme al marito e che lei stà vivendo in uno stato di allucinazioni.

La tensione sale e per un certo lasso di tempo si ha il dubbio che Jodie possa effetivamente non starci dentro più di tanto e vedere cose che non esistono. L'aereo è di dimensioni ciclopiche, tre piani e mezzo, con ampi volumi inutilizzati, griglie e pannelli, scalette, e via dicendo, lo stile è quello dell'architettura allo spreco delle basi segrete dei cattivi dei James Bond, in cui nel cunicolo subacqueo da cui dovrebbe uscire il sottomarino automatizzato con i missili atomici per distruggere Washington, Londra, Pechino e Mosca ci si è premurati di installare file di lucine azzurre. Trovare una bimba in un ambiente di questo genere somiglia alla proverbiale ricerca dell'ago nel pagliaio, anche perché Jodie, che con il procedere del film svela doti atletiche e di furtività degne di un navy seal dapprima si lancia in iniziative isteriche ed inutili in modo da ritrovarsi addosso gli occhi e le antipatie di tutti i passeggeri.



Si scopre che il faccia da schiaffi è in realtà un crudele criminale che ha ordito un sofisticato piano, al cui confronto l'assassinio di Kennedy era plain vanilla, per ricattare la compagnia aerea e far cadere la colpa su Jodie. Il piano prevedeva i seguenti passi: uccidere il marito di Jodie, mettere dell'esplosivo nella bara, rapire la bambina per mandare Jodie fuori di testa, aspettare che Jodie senza ragione alcuna apra la bara del marito (sigillata con un codice), recuperare l'esplosivo, piazzarolo, ricattare la compagnia aerea che seduta stante verserà 50 milioni di dollari su di un conto irrintracciabile(?), far atterrare l'aereo in un luogo dimenticato da Dio, far credere a Jodie che in realtà la gente stà scendendo per permettere di svolgere una ricerca più accurata, far ammazzare Jodie dalle teste di cuoio e infine, e giusto per essere più efferati, far saltare in aria aereo e bambina. Ora è evidente che per ordire un piano di questo genere bisogna essere completamente deficenti, ulteriori indizio in questo senso è il fatto che la complice del faccia da schiaffi sia una hostess ipercretina che alla prima difficoltà va in panico e fugge.

Il piano sopra descritto è talmente scemo che Jodie riesce a sventarlo senza particolari intuizioni, i cattivi muoiono o finiscono in prigione, il capitano si scusa per non averle creduto e i passeggeri americani e arabi (nel frattempo diventati amiconi) le danno pacche sulla spalla e si dicono tra di loro cose del genere "hell yeah, she never gave up".

Il film è una produzione hollywoodiana di primo piano, quindi tecnicamente impeccabile, ha un buon cast, e una sceneggiatura che regge per i primi 35 minuti. Ha il pregio di poter essere guardato a cervello semispento, i personaggi sono pochi e non si fatica a distinguere i buonim, i brutti e i cattivi, quindi se non si ha il vizio di cercare la coerenza nelle storie il film va giù benone. Di film simili ce n'è parecchi, così su due piedi mi vengono in mente Passenger 57, Executive Decision, Airforce One e il recente Red Eye... diciamo che il connubio film ambientato su aereo, sceneggiatura debole pare quasi la regole (dei film precedentemente citati ad istinto salverei solo Passenger 57). Probabilmente il rammarico più grande è che fino ad un certo punto il film tiene, si ha il dubbio che la bambina a bordo non ci sia mai stata, ci si chiede dova la storia possa andare a parare, poi il tutto si sgonfia come un soufflé mal fatto, peccato.

Il titolo non ha un significato particolare, tolto quello di essere qualcosa che c'entra con l'aviazione, ne è particolarmente brillante, e in questo è in linea con il resto del film.

valutazione: ***

lunedì, novembre 07, 2005

Michel Vaillant (@imdb)


Torno a tediarvi con una piccola recensione di un film ormai passato in DVD, non nuovo (è del 2003), di cui pochi hanno memoria (di sicuro il mio ospite, l'Imperatore) e che mi permette di gettare fango sullo stato del cinema contemporaneo nel Bel Paese (mi pare giusto in questo Blog).

Ordire una trama

Dal mondo dei fumetti, l'introverso re dell'auto-sciovinismo francese (Michel Vaillant) corre per salvare la vita del padre nella 24h di Le Mans edizione 2002 e ci riesce! La trama è questa e non c'è nulla più che valga la pena di aggiungere.

Se vogliamo dirla con Axel Roses... It's a story of a man, who try to work hard on his own... come tante ce ne sono.

A differenza di molti francesi e ciò non è poco, il Vaillant risulta pure simpatico, senza scalfire la simpatia suscitata da Gérard De Pardieux che parla male di se stesso, dei francesi, del cinema francese e del cinema tout court (uno humor molto inglese, cosa che per un Francese non è poco).

Every rose has its thorn... till you drop da bomb!

Dirò subito che questo film non è un capolavoro, ma non merita nemmeno l'ultimo ripiano dello scaffale d'angolo dove tengo il Beowulf (che a forza ho voluto comperare, anche se l'Imperatore me ne parlò male), Battlefield Earth ed altre cose di cui se troverò il coraggio farò outing. Preciso che si tratta di un ennesimo film bastardo di Luc Bessson, che non si è occupato della regia, ma sicuramente qualcosa ha scritto e qualche doblone ha speso.

Vi chiedo perché il Besson, che ha giurato di fermarsi a dieci film come regista (ma che a ben vedere ha le mani in pasta in almeno un altro centinaio) s'è impeganto come scenaggiatore in questa produzione minore alla Taxi? Di primo acchito potrei rispondervi come fece Caz de Kan (il fidanzato di Paola Banale) alla domanda sul perché bevesse Jägermeister ("Io non so perché bevo Jägermeister!"), ma impegnandosi più a fondo (mai accettare la prima offerta) la vera ragione emerge lampante: uno beve l'idraulico liquido e dice che è buono, perché gli hanno regalato un sogno (la notorietà) e dato tanti dobloni che nemmeno Gennaro D'Auria e Cicciput sanno come. Scusate la distrazione, per tornare a noi, la disarmante risposta è che questo film permette di fare cassa, modesta, ma sempre cassa ed inoltre ha il pregio di dare una possibilità ad alcuni figli di un Dio minore di sedere al desco dei grandi almeno per una volta. È lasciatemi dire che è sicuramente una pratica più degna dell'andar ospite da Maurizio Costanzo o sull'Isola dei Famosi. Più succintamente il cinema francese può permettersi degli essais di grande tecnica (alla "volevamo vedere se potevano girare delle scene mozzafiato alla 24h di Le Mans e l'abbiamo fatto!"), anche se la trama è ben lungi dal frangigonadismo dei film finto-intellettuali.

Au contrair du cinéma, il cinema italiano queste produzioni non se le sogna nemmeno.
Tutti a dire che i cinema italiani sono affollati da produzioni di poco valore (perché i Vanzina che fanno) provenienti dall'estero, con pochi contenuti e molti effetti speciali. Nell'italico cinema, non ci sono i soldi ed i mezzi (e forse neanche le persone) in grado di usare al meglio le tecniche del cinema contemporaneo: un film non è solo il diaporama alla Nanni Moretti o non è solo Stefano Accorsi che rifà se stesso all'infinito nel mezzo di un'ennesima crisi di mezz'età e a cui francamente invidio solo di non aver ceduto al lato oscuro della forza dopo aver pomiciato con Martina Stella ed essere quindi finito in casa di un travestito a tirar bamba.

Il cinema è anche tecnica, potenza dell'immagine, suono, musica, colore! Insomma se la gente va al cinema al posto di starsene a casina a godersi un DVD, qualche differenza ci dovrà pur essere.

A gettar ulteriore benzina sul fuoco, ricordo che l'Italia ha inviato agli Oscar, come candidato per il premio di miglior film straniero, un film girato in molte lingue tranne che in Italiano: per certo un bel film, ma gli americani che sono tutto ed il contrario di tutto, ma che certamente mostrano un po' più di pragmatismo di noi abitanti della vecchia Europa, non ci sono cascati e l'hanno rigettato. Non hanno forse capito che l'effetto speciale era proprio girare un film italiano non in lingua italiana?

Ecco il Vaillant è l'archetipo di questi film di mezzo che in Italia non verranno mai realizzati: trama semplice, scene d'azione guardabili e fotografia da paura.

Summa summarum

Mi fermo qui e vi consiglio il Vaillant per le serate in cui non avete voglia di pensare troppo e volete vedere delle discrete scene d'azione e sentire il rombo dei motori. Se avete visto Driven, mi dispiace per voi, e consolatevi con il Vaillant.

Su scala imperiale: ***!

Postproduzione


Vi dico anche:

  • Bella fotografia anche se i blu ed i rossi sono un po' troppo saturi
  • Alcune scene girate nel garage, nei box e nella galleria del vento ricordano condizioni di luce soffusa e polverosa, che hanno fatto impazzire il buon Ridley Scott al tempo di Blade Runner e che ancora oggi sono difficili da girare
  • Il mio Tag McLare ha sofferto alcuni passaggi forse dovuti alla saturazione eccessiva dei colori e forse ad un trasferimento non proprio di altissima qualità (doppi contorni)
  • A volte il voto su imdb è troppo crudele: qualcuno è riuscito a dare a Driven 4,4 (è pure vero che Verona Feldbusch porti almeno 4 punti alla causa) ed al Vaillant solo 4,9. A mio avviso bisogna almeno aggiungere un punto al Vaillant
  • Vi ho volutamente messo un sacco di hyperlink, affinché possiate andare a spulciare un po' nelle vite di alcuni personaggi. Guardate per esempio cosa ha scritto Maurizio Costanzo
  • Mi rendo conto di aver un po' esagerato, ma il Blog dell'Imperatore è anche un luogo in cui l'Ego possa emergere in tutta la sua prepotenza ed arroganza!
  • Versione 1.01

venerdì, novembre 04, 2005

Wallace & Gromit and the curse of the Were-Rabbit (@imdb)

Come il chilometrico e diascalico titolo suggerisce questo film racconta delle vicende dell'accoppiata Wallace e Gromit alle prese con il coniglio mannaro.

Wallace, umano di grande talento inventivo ma carente in quanto a senso pratico, e Gromit, cane che da dietro le quinte fa funzionare le cose, sono un'unità di emergenza che salva gli ortaggi della città dalle voraci fauci dei moltissimi coniglietti presenti in zona. Nella città è diffusa infatti una preoccupante forma di feticismo che riguarda verdure ed ortaggi, e che culmina ogni anno con il concorso della carota d'oro organizzata dalla nobil donna Lady Campanula Tottington (Totti per gli amici).


Quando si diffonde la voce di della presenza di un gigantesco coniglio capace di mangiare una zucca con un morso il panico dilaga per le strade, Wallace & Gromit da un lato e il crudele e sanguinario Victor Quartermaine, viscido pretendente alla mano di Lady Tottington, dall'altro cerceranno di fermarlo. In questo pericoloso gioco a tre chi sopravviverà allo scontro finale?


Il film è un'animazione in stop motion con i personaggi realizzati in plastilina, alla Chicken Run per intenderci, ed è il più recente capitolo di una lunga serie di avventure con protagonisti Wallace e Gromit. La realizzazione è dal punto di vista tecnico impeccabile, purtroppo a livello di contenuti non ci siamo.

W&GatCotWR è un film noioso, i personaggi, cominciando con i protagonisti, sono solo raramente simpatici, poche, pochissime le battute, inseguimenti che si protraggono fino alla noia, poco più di un Tom&Jerry di un'ora e mezza insomma... sarà che i vari Shrek, Monster, Nemo e i film di Miyazaki ci hanno abituati troppo bene ed ora nei confronti dell'animazione si hanno troppo pretese a livello di contenuti, ma sia quel che sia, di questo film non mi sento di parlar bene più di tanto.


Va detto che la platea scoppiava in risate abbastanza spesso, quindi forse il problema è mio, non del film. Mi sento però di aggiungere che il pubblico in sala era velatamente sull'intelletualoide/alternativeggiante, e in piena teoria del complotto mi permetto di sospettare che si trattasse di neo luddisti dell'era dell'informazione, odianti hollywood e la computer graphic e più che pronti ad apprezzare questo W&GatCotWR anche solo perché fatto in Inghilterra e con la plastilina.

Da parte mia sono convinto che la computer graphic ha salvato l'animazione, Galaxy 999 era meglio di Titti e Silvestro (e devo aggiungere che all'epoca, ed ero piccolo, quelli che cercavano di convincermi del contrario adducendo avantutto il fatto che i giapponesi facevano i cartoni animati col computer mi parevano dei poverini, in primis che se ne frega di come sono realizzati, secondariamente non riesci a farmi credere che è interessante vedere un gatto che cerca all'infinito di catturare un canarino senza riuscirci) e che con la plastilina si possono fare grandissime cose (questo film in fondo ne è la riprova). Altresì sono certo che quando non si ha niente da dire si avrebbe un'ottima occasione per tacere. Visto che questo, che per gli sceneggiatori dovrebbe essere un mantra, vale anche per me, termino qui il mio commento a questa produzione non priva di qualche spunto ma lungi dall'essere davvero convincente.

valutazione: ***

mercoledì, novembre 02, 2005

Crash (@imdb)

Crash è un film corale, cioè un film con dentro un sacco di attori che all’inizio sembrano centrare poco uno con l’altro, il classico film alla visione del quale lo spettatore solitamente esclama: “ah, guarda, c’è anche lui! Bravo lui! Ha già fatto quell’altro film… com’era già????”, oppure: “Oh no, c’è pure questo, noooo! Fa schifo!”, pieno di situazioni ed episodi di un’apparente normalissima esistenza metropolitana. Si svolge infatti a Los Angeles, una città “non-città”, nel senso che non ha un centro definito sullo stile europeo, una città dispersiva, come lo sono i suoi milioni di abitanti di tutti i colori e tutte le razze, una grande insalatiera riempita di ogni sorta di popoli e personaggi. L’interazione di questi personaggi, o meglio solo un campione di essi, è la trama del film. Aggiungiamoci un pizzico di ultra-attuale intolleranza e “diffidenza dell’estraneo” – una volta lo si sarebbe forse definito “odio razziale”, ma oggi le varie sfumature rendono il discorso altamente complicato – e abbiamo il quadro che il regista (e sceneggiatore) Paul Haggis dipinge della città degli Angeli (Paul Haggis ha tra l’altro scritto la sceneggiatura di Million Dollar Baby, che non è poco, e quella del prossimo film del Clint).

A rendere il film interessante e senz’altro bello da vedere un folto gruppetto di attori efficaci, poco star e molto professionisti, come ci si augura spesso, ma poche volte si viene accontentati. Avete presente Traffic (S.Soderbergh, 2000)? Ecco, lo stesso tipo di film, non sul tema della droga, bensì sulla difficile comprensione e interazione tra l’afroamericano, il cinese, l’ispanico, il caucasico, l’iraniano e l’anglosassone, tra il ladruncolo, il procuratore politicante, il poliziotto, il regista, il detective e la dottoressa, tra il povero e il ricco, tra il malato e l’assicurazione, tra la serratura e la porta, tra la strada malfamata e il quartiere tranquillo, insomma, volendo semplificare: il male del momento, almeno nella Los Angeles di Haggis. Così ritroviamo tutta una serie di attori bravi e meno bravi, famosi e meno famosi che interpretano l’esistenza di normali cittadini intenti a fare il proprio lavoro, ma con evidente tristezza e incazzatura di fondo.

I vari personaggi di questo circo urbano sono, in ordine sparso:

  • classico detective afroamericano con la testa sulle spalle, che sembra non faccia nulla, ma alla fin fine il suo dovere lo compie in piena regola, tipicamente proveniente dal ghetto – la madre è drogata e il fratellino è teppistello-ladruncolo – ma estraniatosi da esso. Se la fa con la collega, messicana, anche se lei apprezza poco quando rispondendo al telefono lui dice a sua madre di non rompere perché si sta scopando una bianca. Interpretato dal bravissimo Don Cheadle in gran forma, reduce dal successo di Hotel Rwanda e ormai lanciato – e ne sono ben felice – verso una gran carriera cinematografica. Oltre a doversi subire la merda quotidiana della sua città, scoprirà con disgusto come gira dalle parti alte, quando viene convinto a contar palle per semplificare il lavoro al procuratore. In più, anche se si occupa della madre come meglio riesce, questa non se ne accorge e anzi lo incolpa per la brutta fine del fratellino ladro. È l’anima del film, il personaggio chiave, anche se non per forza ce ne sarà uno solo.


  • altrettanto super-classico Matt Dillon, in gran spolvero con quell’aria da moderno Atlante (cioè: “io tengo il peso del mondo sul gobbo, e ne sono fiero, anche se non è per niente facile”) agente stradale veterano e razzista del LAPD, naturalmente non sulla stessa lunghezza d’onda del giovane collega Ryan Phillippe (di cui dirò poi) perché sa già come gira il mondo vero. Si ritrova con il padre sveglio la notte per gravi problemi di prostata e la prospettiva di adeguate cure mediche e sostegno andata in fumo, perché si è messo a fare la parte del padrone della piantagione di cotone della Georgia con la nera sbagliata, cioè l’irremovibile impiegata dell’assicurazione (attrice già vista altre volte). Anche se usa mezzi poco ortodossi e approfitta della divisa che indossa, risulterà essere l’eroico poliziotto salva-vite e guarda caso non una vita qualsiasi.


  • la coppia Sandra Bullock-Brendan Fraser, lui stiloso procuratore pubblico della città, bianco, ricco e preoccupato soprattutto della sua rielezione più che del crimine dilagante, e lei sua moglie che va in paranoia psicotica contro tutti coloro che non possono vantare una linea genealogica diretta con la vecchia Inghilterra, perché due ladruncoli neri hanno appena rubato loro con nonchalance l’auto (jeeppone parecchio costoso, dev’essere il pendant americano del Cayenne) in pieno centro. Addirittura fa una scena di puro delirio col marito, perché il tizio che sta cambiando le serrature della casa (sempre a causa della psicosi del momento) è ispanicheggiante, è rasato, porta pantaloni ampi e ha un tatuaggio, e arriva anche a prendersela con la donna di casa, pure ella d’origine centro o sudamericana. Da antologia i problemi politico-razziali che assillano il Brendan-procuratore: vuole dare una medaglia al valore a un pompiere per ingraziarsi il popolino (vedi dialogo sotto), ma questi è di origine irakena e si chiama proprio Saddam, e nel contempo si ritrova con un poliziotto nero ucciso da un collega bianco, che a torto o a ragione sarà sacrificato sull’altare della propiziazione dell’elettorato afroamericano.

    Rick (il Brendan): Why do these guys have to be black? No matter how we spin this thing, I'm either gonna lose the black vote or I'm gonna lose the law and order vote!
    Karen (sua assistente afroam.): You know, I think you're worrying too much. You have a lot of support in the black community.
    Rick: All right. if we can't duck this thing, we're gonna have to neutralize it. What we need is a picture of me pinning a medal on a black man. The firefighter - the one that saved the camp or something - Northridge... what's his name?
    Bruce (altro assistente): He's Iraqi.
    Rick: He's Iraqi? Well, he looks black.
    Bruce: He's dark-skinned, sir, but he's Iraqi. His name's Saddam Khahum.
    Rick: Saddam? His-His name's Saddam? That's real good, Bruce. I'm gonna pin a medal on an Iraqi named Saddam.

  • la famiglia iraniana, padre, madre e figlia, che pur essendo a tutti gli effetti americana non riesce a sentirsi integrata al cento per cento, soprattutto il padre. La figlia, invece è sveglia, dottoressa affermata, molto poco mediorientale e molto made in USA nei modi. Il padre, commerciante con piccolo negozietto tipico stile “mercato di Damasco”, vuole assolutamente comprarsi una pistola per sentirsi più al sicuro, ma nel più classico dei casi, il rivenditore americano lo prende per terrorista islamico che gli farebbe saltare le torri gemelle un’altra volta. Alla fine ci pensa la figlia a risolvere, e il colore dei verdi dollaroni piace molto di più al rivenditore che la retorica antiterroristico-razziale. Comprerà delle cartucce a caso, okkio al dettaglio importante! L’iraniano, pur essendo fiero di avere almeno la figlia in gamba, non è per niente tranquillo con se stesso e col mondo, e quando arriva lo stesso riparatore di serrature che ha fatto andare fuori di nervi la Bullock, lo insulta pesantemente perché non gli rimette a posto la porta, che però non chiude bene di suo, senza problemi alla serratura. Il poro ispanico se ne va senza ricevere il becco di un quattrino, carico di insulti razziali del nostro amico persiano, che vede il diavolo in ogni angolo, e la porta se ne resta rotta! Porta rotta, furto assicurato, assicurazione non paga! Il persiano ci resta di merda e in un raptus di follia vorrà vendicarsi con chi ritiene responsabile.

  • arriviamo al già citato fabbro ispanico del servizio serrature 24h/24. Il soci, che sta subito simpa a tutti, si spacca di lavoro che evidentemente non lo soddisfa tanto, ma lo fa per la sua piccola figlia – cui in uno slancio di ottimo savoir-faire genitoresco donerà l’invisibile mantello della protezione contro ogni cosa per farla uscire da sotto il letto – di modo che possa vivere in un bel quartiere più tranquillo fuori dal ghetto. Si beccherà insulti da tutti e rischierà forte di fare una pessima fine insieme alla famiglia.


  • coppia di afroamericani affermata: lui regista televisivo di successo, sta tornando (anche lui con il mega jeppone di cui sopra) da una serata di gala alla quale ha ricevuto un premio. La moglie, Thandie Newton (la bella di Mission Impossible II), contenta del suo ometto, gli sta facendo il servizio in auto. Sfortuna vuole che i due poliziotti Dillon-Phillippe che stanno cercando l’auto rubata del procuratore, si accorgono delle attenzioni particolari della nostra, e decidono, o meglio, il Dillon decide, di romper loro le uova nel paniere. Solita scenetta da sceriffi americani che fanno scendere i due con le mani bene in vista, e il Dillon si mette a perquisire in modo tutt’altro che disinteressato la tizia in vestito da sera, mentre umilia pure il marito facendogli fare la figura dell’impotente davanti alle angherie del più forte. La cosa chiaramente non va giù alla moglie, che una volta a casa tira il pacco al marito che non ha saputo difenderla. Il tizio è dispiaciuto, ma sa che ha agito nel modo più ragionevole. Però, il giorno dopo, quando si becca in faccia una specie di ultimatum dal protagonista bianco del telefilm che sta girando, si rende conto di quanto è troppo compiacente con i bianchi e di quanto si fa mettere i piedi in faccia da un sistema, del quale ormai si sentiva praticamente far parte. Decide di reagire, in maniera discutibile, e riuscirà infine, non senza rischio e con l’aiuto del polotto Ryan Phillippe a risolvere la situazione e a placare la sua coscienza.


  • i due ladruncoli d’auto afroamericani usciti direttamente dal ghetto. Bellissimi personaggi questi due, rappresentano la parte spiritosa del film. In classico stile rappeggiante west-coast-addicted uno di loro spara sentenze su ogni cosa che vede, ogni situazione, ogni persona che incrociano. Ogni più piccola cosa è un atto di razzismo dei bianchi nei confronti dei neri, un esempio su tutti: secondo lui i bus hanno i vetri grandi e grossi così si può vedere i pori brotzi che sono costretti a prenderli e che per la maggior parte non sono bianchi. Il suo amico è più tranquillo e si limita a cercare di confutare ogni argomento dell’altro, con poco successo, perché quello, per farla breve, ne ha sempre una pronta. Insomma sti due, tra uno sclero e l’altro si mettono a rubare auto, ma non quando sono vuote, parcheggiate in culo al mondo o roba del genere. No, in pieno centro, quando la gente sta per salirci e con la pistola puntata. Prima fregano il barcone del procuratore, provocando una crisi epocale a sua moglie, poi, scappando, investono un cinese che stava chiudendo il suo furgone. Visto che questi rimane incastrato sotto l’auto in puro stile pulp, lo devono salvare e lo abbandonano davanti a un ospedale. Il giorno dopo, se la prendono con il regista televisivo di cui sopra, ma costui stavolta, nel suo tentativo di vendicarsi del mondo, non ci sta a farsi mettere i piedi in faccia ancora una volta e reagisce pesantemente, ferendone uno e portandosi dietro in una pazza corsa in auto il secondo. Va a finire che interviene la pola, che il regista resiste, fa prova di forza con gli sbirri e se la cava grazie all’intervento di Ryan Phillippe che lo riconosce e vuole riparare al torto che gli ha fatto il collega la sera prima. Il ladro decide di rimanere schiscio e si farà mollare da qualche parte dal regista che ovviamente non gli risparmia la morale, roba del tipo: “è colpa dei neri come voi se anche noi neri in ordine siamo considerati merde”. Caso vuole che si ritrova davanti al furgone del cinese che ha tirato sotto la sera prima, e naturalmente glielo gratta. Lo porta al ricettatore e con grande sorpresa di tutti ci si accorge che è pieno stipato di clandestini orientali, poi meglio definiti dal ricettatore, che fa prova di ottima conoscenza nel campo, in tailandesi. Il ladro nero stavolta rinsavisce e al posto che farsi un mega gruzzolo vendendo i thai, li porta a little china e li molla in strada, liberi.


  • cinese trafficante in clandestini e sua donna/moglie molto apprensiva. Del cinese abbiamo già detto, il suo ruolo si limita a essere mezzo spiaccicato sotto un’auto e cavarsela per un soffio. Della moglie o tipa che sia facciamo conoscenza subito all’inizio del film, ma ci si fa poco caso. In questo frangente se la sta prendendo con la partner messicana del detective nero di cui al primo punto. Per via di un incidente tra di lei e i due sbirri, e per via che c’ha una fretta matta, sta china se la prende pesantemente sia con la stradale, sia con la messicana, insultandola senza sosta. Forse si sente più americana di lei perché i suoi nonni sono arrivati in California in un container di una nave mercantile e non hanno attraversato a piedi il confine tagliando la ramina. Alla fine si capisce perché aveva fretta, doveva raggiungere il suo uomo all’ospedale, tutta agitata si mette a insultare anche le infermiere, anche qui con argomenti linguistico-razziali. Fine della storia: il cinese che è bello pesto, ma vivo e vegeto, e soprattutto c’è ancora con la testa, dice alla tipa di sbrigarsi ad incassare il contratto per la vendita dei clandesta, giustamente prima che qualcuno si accorga che in realtà non sono più in mano sua.


  • infine, un ultimo personaggio tra i più principali, l’agente stradale del LAPD Ryan Phillippe (nella vita reale marito di Reese Witherspoon). Come detto questi è dapprima di pattuglia con il veterano Dillon, ma poi, da buon pivello, non gli aggradano i suoi metodi spicci e chiede di avere un altro partner. Il capo, un afroamericano, in sostanza gli fa capire che la motivazione che il Dillon è troppo razzista non funzia, e non sarà certo lui a cambiare le cose per una tale motivazione, visto che gli spuzza il cadreghino che come nero si è guadagnato sudando parecchio. La soluzione che propone al poro agente è di farsi passare per uno che ha la scorreggite patologica cronica e che si vergogna a stare con altri di pattuglia. Al Ryan sta soluzione non va giù manco per le palle, ma si rende conto che è l’unica per difendere il suo idealismo, così ingoia il boccone amaro, si becca la tirata di capelli del Dillon che gli fa capire che non c’è posto per l’idealismo dopo anni e anni di servizio, e se ne va in giro da solo. All’inizio gli va bene, riesce pure a rifarsi della sera prima salvando il regista come minimo da un arresto. Peccato che più tardi, tornando a casa, carica il secondo ladruncolo d’auto che era rimasto a piedi e faceva stop. Tutto ad un tratto capirà cosa intendeva dire il buon vecchio Matt Dillon.

I vari episodi e situazioni, come in parte già raccontato sopra, si intrecciano. I tanti personaggi diversi interagiscono. Ad alcuni va bene, e la vita continua, ad altri va peggio, ma la vita continua lo stesso. Non è una storia che inizia e finisce, è un film che racconta dei momenti, le persone si scontrano, fanno “crash” quando vengono a contatto, come dice il detective interpretato dal superlativo Don Cheadle, la morale, se vogliamo, del film: “It's the sense of touch. In any real city, you walk, you know? You brush past people, people bump into you. In L.A., nobody touches you. We're always behind this metal and glass. I think we miss that touch so much, that we crash into each other, just so we can feel something.

Succedono altre cose oltre a quelle già descritte, ma non è il caso di elencarle tutte per non togliere la sorpresa e il piacere a chi non l’ha ancora visto. Ogni dettaglio è curato, quasi niente è fatto o detto a caso, nemmeno la storiella del mantello invisibile proteggi-da-tutto della figlia del fabbro ispanico. Stilisticamente non c’è niente da dire, ottima sceneggiatura, ottimi attori, ottimo regista, resta da vedere se sottoscrivere il messaggio che vuole far passare. È il quadro di una società malata, intollerante, che non sa più come comportarsi con chi sta intorno, chi vive la vita nella stessa, grande, odierna città: una Los Angeles sulla buona strada per diventare nel prossimo futuro la megalopoli multietnica immaginata da Philip K. Dick e Ridley Scott in Blade Runner.

Andate a vederlo, vale sicuramente la pena!

Imperator rating skala: ****

domenica, ottobre 30, 2005

Doom (@imdb)


Space marines, mostri, sparare, mutazioni genetiche, correre sulle griglie, Marte, 24° coppia di cromosomi, sequenze in steadycam con focali cortissime, porte che si chiudono di lato, sparare, teletrasporto, countdown, FPS, Karl Urban, cunicoli, mitra con attaccata una pila, sparare, sfumature di ruggine, altri cunicoli, sparare ancora, neon ad intermittenza, The Rock, altri space marines, corridoi scuri, BFG, sparare di nuovo, mostri, sfumature di ruggine, mostri, sequenze FPS, correre sulle griglie, cunicoli, porte che si chiudono verso il basso, sparare, mostri, esplosioni, granate, continuare a piacere.




Doom è po' Alien, un po' Stargate, un po' Starship Trooper, un po' Event Horizon, un po' Abyss, un po' The Thing, che a loro volta sono tutti un po' Alien. Storia semplice: stazione scientifica su marte, sperimentazioni illegali, mutazioni genetiche, mostriciattoli, marines, carneficina, titoli di coda.

Realizzazione molto dinamica, tanta steadycam, focali spesso esotiche, colonna sonora efficace (Nine Inch Nails e simili). Attori poco giudicabili in quanto non è stato richiesto loro nessuno sforzo interpretativo, comunque abbastanza credibili quando sparano e quando vengono fatti a pezzi. Karl Urban si sforza di tanto in tanto di fare il marine dal volto umano, perdita di tempo, è sempre e comunque chiaro chi sono i buoni e chi i cattivi, in fondo è più adatta alla situazione l'attitudine da c'ho il fucile più grosso del tuo di The Rock, tutti gli altri sono lì a finire il peggio possibile per far capire che la situazione è grave.

Imperdibile per chi ha amato Doom, forse superfluo per gli altri.

valutazione: ****

Nota: coloro a rischio di pensare che Baron of Hell e Mancubus siano locali dove si suona metal consiglio di NON andare a vedere questo film

Nota bis: ad un tratto del film si scorge uno schermo su cui vi è lo schizzo di un'arma che si dovrebbe chiamare Bio Force Gun, da cui BFG; in realtà durante la creazione del primo Doom (1993) l'arma definitva era stata denominata BFG9000 da Big Fucking Gun e HAL9000 (che si chimava così prendendo le lettere precdenti IBM). Ad un tratto il BFG capita tra le mani di The Rock che in un fragoroso Big Fucking Gun richiama infine le cose con il loro nome... probabilmente non era credibile pensare che degli scienziati chiamassero un progetto con la F-word. Bio Force, bah.

sabato, ottobre 29, 2005

Kiss Kiss, Bang Bang (@imdb)

Commedia che senza svettare vale certamente più del suo terribilmente sciocco titolo.

Il film è un one man show del tutto sommato versatile Robert Downey Jr. (da non confondere con Cuba Gooding Jr., il "coprimi di soldi" di Jerry Maguire, o Freddie Prinz Jr., già visto in Wing Commander, Scooby Doo e altre cose che uno avrebbe meglio fatto ad evitare), qui impersonante Harry, goffo ladro dalla grande correttezza morale.


In modo fortuito Harry finisce nel bel mondo di Hollywood in cui un produttore privo di scrupoli lo utilizza come pedina di un piano ordito per mettere pressione su di una cappricciosa super star. Harry viene infine a saperlo ma non se ne cura in quanto nel frattempo si è reinventato detective al fine di poter ronzare attorno ad Harmony (la sconosciuta Michelle Monaghan, nessuna relazione con lo hobbit Dominic Monaghan, che tra l'altro in Lost intepreta un naufrago eroinomane, attività questa, l'eroina, non il naufragare, che Robert Downey Jr. ha compiuto con una certa assiduità nella vita reale. Il cerchio si chiude in qualche modo), aspirante attricetta nonché ex compagna di liceo nei cui riguardi, e a distanza di un paio di decenni, Harry mantiene una palese infatuazione e ancora non riesce a farsi una ragione del non essere riuscito a farsela.

A fianco di Harry vi è Perry (Val Kilmer, niente a che vedere con Vilmer Valderrama, già visto in svariati teen movie con cui è certamente meglio non aver avuto a che fare), detective che il produttore privo di scrupoli di cui sopra aveva affiancato ad Harry per far finta di insegnarli a recitare nei film polizeschi, sempre in modo da bofare sul collo alla super star capricciosa. Perry è il detective tutto d'un pezzo da film in bianco e nero, cui però gli astuti sceneggiatori hanno conferito la caratteristica di essere gay in modo forse da evitare il classico triangolo d'attrazione tra i tre protagonisti o forse solo perché sembrava un'idea inusuale (non avendo visto The Mexican) e che permetteva di riciclare qualche battuta già pronta nel cassetto (propenderei per la seconda visto che l'orientamento seussuale di Perry non gioca alcun ruolo nella vicenda).


In una girandola di surreali vicende, omicidi, presunti incesti, sogni di gioventù infranti la storia va avanti, molto intricata ma del tutto in secondo piano, visto che il film tutto si basa su Robert Downey Jr., le sue goffaggini, le sue idiosincrasie, con l'apporto importante ma secondario di Val Kilmer e della Monaghan.

Il film ricorda per ambientazione e registro Get Shorty e Hollywood Homicide, anche se forse John Travolta e Harrison Ford risultavano meno divertenti di quanto lo sia Robert Downey Jr. in questo Kiss Kiss, Bang Bang.

In breve: si guarda e si ride ma dopo è tutto come prima.

Valutazione: ***

Oso supporre che il demenziale titolo faccia riferimento a Chitty Chitty Bang Bang (l'assonanza è evidente), anche se è difficoltoso immaginarsi cosa sia dovuto passare nella mente bacata di chi lo ha creato. Chitty Chitty Bang Bang era un musical con macchine volanti, questo è a suo modo un polizzesco... le vie del marketing non sono forse infinite ma attraversano di certo luoghi bizzarri.

venerdì, ottobre 14, 2005

Die Phantastischen Vier (@imdb)

Dopo Batman, X-Men e X-Men 2, Spiderman, Daredevil, Elektra e Spidermann 2 e per certo qualche altra trasposizione su celluloide che mi son perso, ecco il turno dei Fantastici Quattro. Ammetto di non aver letto mai alcun che di questi quattro principi.

Andiamo a cominciare

Il film segue il classico canone dei fumetti. All'inizio tutti più o meno buoni, qualcosa succede, poi buoni e cattivi si affrontano per il Ragnarok finale, ma non troppo visto che il produttore ci deve marciare sopra con i sequel.

Le formazioni

Lasciatemi introdurre gli schieramenti per il Ragnarok.

Squadra dei Buoni:
  • Il Buono (una strabiliante somiglianza con Tommy Cereghetti) si chiama Reed Richards e fa lo scienziato, ma non riesce a monetizzare le sue scoperte
  • Il Brutto, amicone e guardia del corpo del Buono, interpretato dal protagonista
    cattivo di The Shield. In questo film, limate un po' le spigolosità di carattere, ci si presenta in tutta la sua bruttezza
  • La Bella bella davvero (interpretata da Jessica Alba) anche lei scienziata e fidanzata platonica del Von Doom (Studiatevi la scena della sua apparizione)
  • Infine come non ricordare il fratello della Jessica, il Boccia, che non ha studiato al MIT, ma che si è fatto buttare fuori dalla NASA perchè ha schiantato un simulatore dello Space Shuttle, mentre festeggiava egregiamente con due "aspiranti modelle" e la definizione non me la sono inventata io.

Squadra -si fa per dire- del Cattivo:

  • Der Einzelkämpfer o il Cattivo: il dottor Victor Von Doom (se qualcuno ha visto Nip and Tuck, lui è Tuck), altrettanto brillante scenziato, ricco come un Creso, o almeno così sembra all'inizio del film.

Let the battle arise

Il Buono ormai sull'orlo della bancarotta decide di andare dal Cattivo, accompagnato dal Brutto, per farsi finanziare una bagatella: la scoperta della panacea che guarisce tutti i mali. Il Cattivo fiuta l'affare (chi mai avrebbe potuto resistere?) e visto che ha una smisurata fiducia nel Buono, più di quanta il Buono ne abbia in se stesso, decide senza troppo rifletterci di finanziargli l'impresa e gli fa una onesta proposta che lui non può rifiutare: il 75% di tutti i guadagni e tutti i diritti. Il Brutto, che non è scemo, mette in guardia il Buono, che per definizione è un rimba al cubo, ma lui preferisce giocare con la scienza e prendersi le briciole che comunque gli permettono di pagarsi l'affito nella lussuosa maggione che occupa all'ultimo piano di un hotel di lusso. Qui appare la Jessica e vi consiglio di studiare la scena.

Deal e tutti nello spazio, pilotati dal fratello della Bella, che qualcosa pure lui doveva fare, ad irradiare un po' di campioni di piante ed animali con una misteriosa energia che nemmeno la signora Famoso Iole saprebbe spiegarsi e che non viene da dentro. Si tratta dell'energia che ha dato origine alla vita sulla terra e che ritorna a trovarci. Non mi dilungo troppo, ma la seduta di lampade va male ed i nostri amici tornano a casa un po' modificati e non solo nel body. La misteriosa energia deve possedere un gran senso dell'umorismo, visto i curiosi poteri che ha allegramente distribuito: Il Buono s'allunga a dismisura come il pupazzo che tutti noi abbiamo tentato di smembrare nell'infanzia (Mister Muscolo), la Bella quando s'incazza scompare, il Boccia s'appiccia ed il Brutto pietrifica. L'energia non trasforma i nostri eroi solo nel fisico, ma anche all'anagrafe:

  • Il Buono diventa Mr. Fantastic e capeggia la combriccola d'eroi
  • La Bella diventa La Ragazza invisibile (con un certo senso d'ironia per il termine "ragazza")
  • Il Boccia diventa La Torcia umana, o per il pubblico femminile il Torcia
  • Il Brutto diventa La Cosa (alla faccia di John Carpenter)
  • Il Cattivo invece tarda a trasformarsi.

Mr. Fantastic promette la cura al Brutto che nel frattempo si è lasciato con la moglie che non sopportava più la sua vista (e voglio crederle) ed è caduto in depressione.
Le cose non vanno affatto bene: differenze insormontabili portano i quattro a dividersi. Mr. Fantastic in controtendenza si riavvcina alla Donna Invisibile, da cui si evince che c'è Speranza per tutti.
Nell'ombra ed in tutta calma, il Dottor Von Doom diventa di bio-metallo e controlla l'Elettrico ed il Magnetico. Sconvolto da questa scoperta, matura un piano di vendetta contro il suo medico personale che lo vuole denunciare come bomba battereologica vivente (ma le mutazioni genetiche si trasmettono per via aerea?), contro i suoi finanziatori, che dopo il flop del solario spaziale, gli tolgono i finanziamenti (ma non era ricco di suo?) e contro Mr. Fantastic ed i suoi amici, visto che lui gli ha tolto la Donna Invisibile. Si mette pure la sua famosa maschera (ma se è già tutto di bio-metallo a che gli serve la maschera?). Divide et impera è la parola chve per capire l'azione del Doom. Dopo aver riconvertito la Cosa, spara uno Stinger dietro al Torcia, che nel farttempo ha imparato a volare, ed attacca Mr. Fantastic al frigo (la gomma surgelata si sa tende a sbriciolarsi). Un po' sbrigativamente il carnefice non si sincera della morte delle sue vittime che come era da prevedersi risorgono, ritornano insieme e lo sconfiggono.

La ricetta

Prendete una manciata di sequenze divertenti, un po' di scene d'azione non eccezionali, poca computer grafica, agitate, non mescolate et voilà! Un pilota di due ore che non risulta troppo indigesto, può essere divertente, ci fa conoscere la strampalata genesi di questi quattro supereroi e ci prepara al sequel.
Ad essere sinceri ho un unico rammarico: non aver visto il Dottor Doom andare all'ONU in seduta plenaria ed irraggiare i membri al fine di controllarne la mente e completare così il suo piano per la world dominance. In tutta sincerità, forse forse oggi apparirebbe ridicolo o forse la corruzione può dove il Dottor Doom ha fallito.

Vincitore ai punti...

Nell'orgia di Marvel di celluloide, lo valuto così: molto meglio di Elektra, meglio di Daredevil, tra X-Men e Spiderman 1, peggio di X-Men 2, decisamente lontano da Batman Begins e L'Homem Aragna dois.

Usando la classificazione imperiale: ***

Quizzer

Se ne avete voglia, provate a rispondere alle seguenti domande in ordine rigorosamente sparso:
  1. Fare lo scienziato in ze USA è veramente un'attivtà così inflazionata?
  2. Al MIT ci sono veramente le Jessica Alba? Cagano anche?
  3. I sacri della computer grafica di questo film hanno dimenticato il Sesquoc?
  4. Come fa il Buono alias Mr. Fantastic a pagarsi la maggione all'ultimo piano di un hotel di lusso, se è andato in banca rotta? Conosce Ricucci? A forse trovato la pietra filosofale, ma per motivi etici la tiene nel cassetto del cifone?
  5. La cieca colored intima della Cosa è frutto di una elegante operazione di morphing partendo dalla Jessica o esiste davvero?
  6. Il proiettore olografico 3D si può acquistare? Se sì dove?
  7. Dove si trova la nazione da cui proviene il Dottor Destino? È vicina alla Spacconia, Terra Promessa dell'Imperatore?
  8. Chi ha autorizzato Mr. fantastic a costruire un laboratorio con centrale nucleare all'ultimo piano di un hotel?

L'anticipazione denota intelligenza

Purtroppo non ho ancora visto Charlie e la fabbrica di cioccolato, ma prometto di recensire un film francese anche lui ispirato ai fumetti che tanto farà contento il mio ospite: Adrenalina Blu: la leggenda di Michel Valiant.

domenica, ottobre 02, 2005

Snow White

Dramma romantico di fabbricazione svizzera.

Lo sfondo è quello della szene degli andati ammale zurighesi, lei (Nico, impersonata dalla francese Julie Fournier) è una Kate Moss della Goldküste che conduce un'esistenza da Übertussie e non disdegna farsela con soggetti che non sfigurerebbero ad un ipotetico cartello di medellin meets mafia russa. Lui (Paco alias Carlos Leal dei Sens Unik) è il frontman di un gruppo rap di successo, è socialmente impegnato e di sicuro non gli si può imputare di mandargliele a dire a quelli che non gli vanno a genio.



I due si incontrano ed è grande passione. Lei viene affascinata dal fatto che lui sia sicuro di sé e di successo maglrado non si strafaccia ma invece sia piuttosto salutista. Lui viene affascinato dal fatto che lei riesca a formulare frasi di senso compiuto e sia tutto sommato simpatica malgrado non vada in giro con pullover di lana e cuffia peruviana ma invece sia una superbonazza fashion addicted (nonché cocainomane, ma questo lui all'inizio non lo sa).

Va detto che sembra plausibile che Nico tenda a somatizzare le difficoltà di rapporto con il padre, businnesman di successo piuttosto generoso quando si tratta di cash, meno in quanto a dare a trà, mettendosi con uomini sensibilmente più anziani di lei, all'inizio del film passa da Boris, mogul della szene che ha più del doppio dei suoi anni a Paco più vecchio di lei di almeno una dozzina d'anni. Il film non si addentra negli aspetti Freudiani della vicenda.


A rendere le cose complicate vi è però la tendenza di Nico a cacciarsi in guai di dimensione vieppiù ciclopica e quella di Paco di essere poco propenso ai compromessi e la sua assoluta mancanza di flessibilità riguardo un'infinità di cose.

In una spirale pericolosamente discendente Nico si trova a scendere nei più reconditi meandri del grigio sottobosco della Zurigo da bere, al seguito della sua migliore amica Wanda, sorta di aspirante amica di Calissano che in quei giri ci sguazza.

Quasi un climax di drammaticità la storia giunge ad un punto di svolta cui segue un surreale ed evocativo finale aperto ma tutto sommato ottimista. Non è Requiem for a dream insomma, anche se a tratti lo richiama un po'.


Il film vanta di un'impeccabile realizzazione tecnica, cosa non scontata per una produzione europea e mantiene un buon ritmo per tutta la sua durata. Un plauso ai protagonisti, Julie Fournier offre un'interpretazione credibilissima e Carlos Leal non sfigura, quantunque il suo personaggio sia un tantino troppo il cliché dell'alterno gran tiratore di storie e un po' cagacazzo. I personaggi secondari sono ben caratterizzati anche se a tratti tendono alla caricatura e allo stereotipo, e nel complesso gli spicchi di Zurigo rappresentati nel film risultano verosimili.


Piccola nota: il film è in züritütch, francese e inglese, ho l'impressione che il capire almeno un minimo di svizzero tedesco sia necessario per poterlo apprezzare fino in fondo.

Il titolo dovrebbe derivare dal soprannome che Boris dà a Nico, i richiami alla cocaina sono però evidenti, visto che quest'ultima pare essere l'hobby a tempo pieno di buona parte dei protagonisti del film.

Valutazione: ****

martedì, settembre 27, 2005

Face Addict (@imdb)

Opera personale del ticinese Edo Bertoglio.

Il documentario girato in prima persona è un viaggio tra i superstiti dell'underground artistico newyorkese orbitante tra la fine degli anni 70 e gli inizi degli 80 attorno alla Factory di Andy Wahrol, autentica fucina di talenti, ma che altresì ne ha ammazzati più del colera.

Bertoglio, fotografo e regista nella New York dell'epoca e che di quel contesto ha fatto parte fino in fondo, viaggia con un mazzo di fotografia, visita gli amici dell'epoca e da questi incontri nasce l'informale ricostruzione di quel che fu quell'esperienza.


Il quadro che ne esce racconta di come fosse un momento di grande creatività, in cui non vi era l'onta di provare nulla e in cui il successo era non solo non cercato ma anche qualcosa con cui non si riteneva di dover fare i conti. Di come quel contesto fosse il punto di ritrovo di tre decenni di artisti meledetti. Di come in modo più o meno casuale l'ultimo sbarcato nella grande mela potesse in capo a pochissimo ritrovarsi parte di questa scena che tanto creava quanto consumava persone. E infine di come il successo arrivò, grande e repentino, e di come il successo abbia fatto si che gli occhi del mondo fossero puntati su quella che sarebbe poi stata una strage, che con il senno di poi si potrebbe dire fosse annunciata.

La parte finale del film parla dei drammatici percorsi dei reduci della scena newyorkese legati alla droga, che nel corso degli anni da fatto artistico collettivo si è trasformato in croce e tragedia dei singoli. L'approccio è autobiografico, e in questa parte i ruoli di intervistato ed intervistatore spariscono e quel che si ha sono in realtà persone che si raccontano della propria personale esperienza.

Il film non è sempre di facile comprensibilità, a volte l'accento è messo su elementi che al non insider, quale io sono, non riescono a sembrare sostanziali, temo sia il rischio insito nelle opere personali, ma ha il non indifferente pregio di avere capo e coda, cosa non scontata in questo tipo di operazione, e soprattutto si guarda con piacere ed interesse (il prerequisito è forse un briciolo di interesse e sensibilità per l'argomento, da parte mia ho riconosciuto solo Basquiat e Debbie Harry dei Blondie, tutti gli altri personaggi mi erano del tutto sconosciuti, questo non mi ha impedito di apprezzare il film).

valutazione: ***

Nota: se ritenete che Big Brother abbia un interesse sociologico e che il Codice da Vinci sia il più grande libro a memoria d'uomo NON andate a vedere questo film.

lunedì, settembre 12, 2005

Red Eye (@imdb)

La trama:
Il vice del capo del mondo vuole andare con prole e consorte in vacanza a Miami beach, non meglio menzionati cattivi ordiscono un demenziale piano per assassinarlo ed incaricano dell'impresa un'improbabile compagine comprendente un manipolo di simil mediorientali con l'hobby della pesca e il gemello di Paolo Maldini che la madre aveva nascosto al padre e fatto gettare in un dirupo perché aveva i piedi piatti ma che in un modo o nell'altro era riuscito a sopravvivere e a trovare la via per Hollywood.

i nostri esprimenti lo stesso entusiasmo del pubblico in sala...
Ma partiamo dal principio, lei è una sorta Jennifer Garner con la faccia pneumatizzata (tale Rachel McAdams già suprema delle plastique nell'ottimo, se si è sviluppata la propria teledipendenza zappando tra viva e mtv, Mean Girl), fa la receptionista in un grande albergo di Miami ed è talmente brava nel suo lavoro che il VCdM stesso la conosce per nome e cognome (sebbene dia del "hey tu tizio" alle guardie del corpo e ai membri del suo entourage), in una dinamica che fa tanto presidente-stagista. Quando non è al lavoro i suoi decerebrati colleghi la assillano di telefonate per risolvere i più insulsi dei problemi, ma lei oltre che bella e brava è pure paziente e risponde sempre con garbo.

Un solo relativamente bel giorno, era appena stata al funerale della nonna e sarebbe successo il finimondo, pesanti ritardi dovuti al maltempo costringono la Pneumatizzata a terra. Tra una coda e l'altra incappa nel Maldini che cerca di fare il brillante un po' tenebroso ma che in realtà ti vergogni un po' per lui. Lei però è tanto buona che alla fine accetta di bere un drink con lui. Dopo una conversazione che dovrebbe essere brillante ed invece è patetica l'aereo parte e i due si ritrovano, magia delle magie, seduti fianco a fianco.

Dopo qualche altra banalità il Maldini mette le carte in tavola, e siccome è a sua stessa detta un superagente internazionale invece di dirle il minimo indispensabile gliela racconta su lunga riguardo alle sue intenzioni. La Pneumatizzata è in principio riluttante ad assecondare i ridicoli piani del Maldini, ma questi minaccia di far uccidere il di lei padre, e per essere più convincente ne estrae dalla tasca il portafogli alla cui vista lei trasale e si dichiara disposta a collaborare. Il come lei abbia fatto a capire che il borsello fosse davvero del padre, visto che era un banale portafogli in pelle con le iniziali J.R. (che saranno valide per una trentina di milioni di persone negli Stati Uniti) è chiaro solo al superleso che ha scritto sta roba.

Lei prima fa dei goffissimi tentativi di smascherare il diabolico piano cercando di avvertire una settantenne prima e in seguito una bambina di undici anni (che ha la fortuna di avere l'unica battuta decente del film "I'm ELEVEN mom, not NINE", nulla di speciale ma in mezzo a questa vicenda da era meglio morire da piccoli è quasi uno spiraglio di luce).
Inutile dire che il crudele bel tenebroso si accorge immantinente di questi puerili tentativi di raggiro e ogni volta la massacra di botte.

Lei alla fine deve piegarsi al suo volere e con una ridicola scusa fa spostare il VCdM in una stanza in cui dovrebbe essere più facile attentare alla sua vita. Gli agenti della sicurezza sono un po' titubanti di fronte al cambio di programma ma al sentire il nome della sua receptionista preferita il VCdM si adegua. Più per scrupolo che altro gli agenti della sicurezza decidono di perquisire proprio il motoscafo degli attentatori che stazionati a venti metri dalla spiaggia stanno fingendo di pescare gli squali. Si fosse stati in Inghilterra alla vista di una congrega di gente arabeggiante la polizia avrebbe sparato a vista e poi fatto domande, ma i servizi americani sono ben più cordiali, non si accorgono che sul motscafo è nascosto un missile terra-aria e così invece di deportare i cattivi a Guantanamo gli augurano buona pesca e se ne vanno.

Nel frattempo si scoprono nuovi aspetti della complessa personalità della Pneumatizzata, il rapporto con il padre videodipendente e con il look da art director, i traumi lasciati dal divorzio dei genitori quando lei aveva solo 25 anni, il fatto di aver subito una violenza alcuni anni prima. Poi si ritorna all'azione, o meglio ci si arriva, visto che fino a quel momento il film non ha offerto tanto. La Pneumatizzata infila una penna a biro nella trachea del Maldini e fugge dall'aereo che era appena atterrato. Il suo cellulare non funziona in aereoporto e quindi, invece di gettarsi sul primo telefono a disposizione ed avvertire il VCdM dell'incombente minaccia, decide bene di tergiversare e di lasciare il tempo al Maldini di togliersi la biro, di avvolgersi un pashmina attorno al collo sanguinante, di uscire a corsa dall'aereo e di quasi raggiungerla.
Ma la Pneumatica è piena di risorse e un po' fortuitamente riesce di nuovo a distanziare il Maldini.

Come ha dimostrato l'Atta giusto quattro anni or sono la sicurezza degli aereoporti statunitensi lascia davvero il tempo che trova e così Pneumatica e Maldini riescono ad uscirsene dall'aereoporto senza che nessuno abbia da dire un cip. Lei riesce infine ad avvertire l'albergo e il VCdM si salva per il rotto della cuffia. In seguito si reca a spron battuto a casa del padre, arrivando scaraventa quattro tonnellate di volvone SUV che aveva rubato all'aereoporto su di un passante che muore sul colpo. Per fortuna questi si rivela poi essere il complice del Maldini. La situazione sembrerebbe risolta, se non fosse che il Maldini, in barba alla sua professionalità da superagente internazionale, decide che Pneumatica e padre devono pagare per avergli messo i bastoni tra le ruote e si lancia in una puerile rivalsa.

Potrebbe uccidere il padre ma invece preferisce lasciarlo incosciente sul pavimento della cucina per far sì che in seguito possa assistere alle sevizie in cui si produrrà per eliminare la Pneumatizzata. Il resto della vicenda somiglia molto a mamma o perso l'aereo, la casa è un mezzo cantiere con un ala consacrata a tempio della memoria dell'infanzia della Pneumatizzata, ripreso più volte durante tutto il film per farci sapere che in gioventù ella era cheerleader e giocava ad hockey su prato, il che ben si presta al lungo inseguimento tra i due protagonisti. Il Maldini riceve un'impressionante dose di botte, soprattutto con la mazza da hockey in cui lei casualmente incappa, ma quasi fosse il corvo non molla e zoppicante, sanguinate, con le corde vocali spezzate, con tante ossa ed alcune pallottole in corpo perdura nel cercare di attuare i suoi vendicativi propositi.

La vicenda si chiude quando il padre esce dalla catalessi e gli spara il colpo di grazia, fatto che dovrebbe in qualche modo rappresentare una svolta nel rapporto padre e figlia, ma a questo punto l'unico interrogativo che lo sfortunato pubblico potrebbe porsi è se almeno i titoli di coda siano riusciti ad impaginarli bene.

È praticamente ovvio che da una storia del genere non può partorire un buon film. La recitazione della McAdams non contribuisce a migliorare le cose, Cillian Murphy (già visto in "28 giorni dopo") se la cava un po' meglio e per metà film il suo personaggio è anche abbastanza credibile e temibile, poi crolla, ma se gli fanno fare il cretino non è mica colpa sua.

Concludeno: il film si chiama Red Eye perché un titolo doveva pur averlo, in ogni caso l'avere un titolo che non significa niente è davvero l'ultimo dei problemi. La prima parte sarebbe persino salvabile, non succede molto e viene detto ancor meno, ma alla pausa uno si chiede con ancora genuina curiosità dove possa andare a parare la vicenda. Di quanto avviene a partire dalla fine del primo tempo la parte migliore sono senz'altro i dieci minuti di intervallo da passare al bar del cinema.

Valutazione:**

venerdì, agosto 26, 2005

Smallville (e dintorni)

Visione della serie in corso, tratta delle vicende di Superman da giovane, davvero carina, per ora visto che sto visionando la prima di 5 stagioni.

È un po' il meglio di Roswell (che è abbastanza) più il meglio di Dawson Creek (che ahimè è poco) più cerchiamo di essere coerenti con il fumetto altrimenti ci ritroviamo con i fan (del fumetto) che ci piazzano le autobombe sul set.

Sono cosciente che la serie è molto vecchia e l'avranno vista tutti quanti, ma dalle mie parti il progresso sempre tardi arriva. Con le parole di Bill bene in testa, e dopo aver visto come Beatrix Kiddo non possa davvero essere la signora Plympton, il come la gente di Krypton non riesca davvero a diventare un all american giocatore del fotball di loro altri... insomma è la mitologia che lo rende speciale.

Se non l'avete visto recuperatevelo che ne vale la pena.

valutazione: ****

lunedì, agosto 22, 2005

Beautiful People

DVD reperito in uno degli scaffali più reconditi della videoteca del Venerabile, una bella sorpresa.



Il film è ambientato a Londra ed ha come sfondo e filo conduttore la guerra in Bosnia; siamo ai primi anni '90, dalla ex-Jugoslavia persone diverse giungono in Inghilterra per sfuggire alla guerra e le loro vite si intrecciano con quelle di alcuni inglesi. Una serie di piccole storie che si legano tra loro solo di sfuggita.

Spesso un po' surreale questo il film ha il pregio di riuscire raccontare di una tragedia senza cascare nell'indigesto, di saper parlare di umanità senza sfociare nel melodrammatico, schivare la deriva buonista potenzialmente dietro l'angolo e infine di intrattenere a cervello acceso.

L'atmosfera al tempo stesso un po' tragica e carica di speranza fa tanto est che guarda l'ovest che incontra l'est.

Valutazione: ****

martedì, agosto 16, 2005

The Island

Futuro, dopo bomba, gli umani vivono in una ipertecnologica arcologia che potrebbe essere un wellness targato Orange, tutti in training rigorosamente bianco e puma ai piedi, tutti volenterosi, cordiali e assessuati, tutti con un sogno, raggiungere l'isola, ultimo luogo incontaminato del pianeta, che lentamente viene ripopolato.

E per raggiungere l'isola? Nulla potrebbe essere più semplice, basta venir estratti alla lotteria che si svolge una o più volte al giorno.

Ewan McGregor è Lincoln 6 Echo, uno come i tanti in attesa di essere scelto per l'isola ma il cui sonno viene tormentato da incubi ricorrenti, e in cui, complice l'amicizia con McCord (Steve Buscemi), tecnico che lavora nelle zone contaminate (e quindi escluso dalla lotteria), sospetti riguardo a questo mondo alla Gattaca con gli sponsor (Puma, come già detto, Microsoft, Nokia, mi pare di aver visto anche Speedo, si rasenta il messaggio subliminale) cominciano a farsi strada.
Quando la sua migliore amica Jordan 2 Delta (Scarlett Johansson) viene selezionata per l'isola dai sospetti si passa all'azione.



Questo film è una piacevole sorpresa, andare a vedere questo film mi pareva d'obbligo dopo che Ewan McGregor aveva salvato Episode III (cui si aggiunge il fatto che Scarlett Johansson ha una certa apprezzabilità), di attese ne avevo però ben poche, questo filone della fantascienza dalle faccie pulite (AI, Minority Report, Paycheck, I,Robot per intenderci) sicuramente non mi spiace ma neppure m'esalta più del dovuto.
Storia con un certo senso (ma che prendendo a piene mani da Spares di Michael Marshall Smith, e un pochino dagli Amaranto di Jack Vance non mi presentato grandi colpi di scena) e una bella realizzazione, a dimostrare che anche con gli inseguimenti si può fare roba non sempre ritrita e noiosa.

Un po' Il sesto giorno, un pochinino Matrix, un po' Coma Profonda, ancora una volta niente di nuovo sotto il sole ma comunque due ore di genuino divertimento, e quando a Ferragosto si è di poco oltre i 10 gradi qualche elemento di speranza ci vuole anche immagino.

Valutazione: ****

Valutazione

In uno slancio creativo introduco un sistema di valutazione:

***** un Film (F maiuscola) (Trainspottin', EP4,5 e 6, Matrix)
**** un buon film (EP3, Matrix Revolutions)
*** un film guardabile (EP2, Matrix Reloaded)
** indigesto ma non velenoso (EP1, Alexander)
* inguardabile (The Toxic Avenger, The last trapper)

giovedì, agosto 11, 2005

Me is back

Lungo viaggio nei Balcani e Mar Nero, pochissimi film visti, i più con il suono originale bassissimo e la traduzione simultanea (all'occorrenza in Rumeno, Bulgaro o Russo), però mi sono fatto un idea dei luoghi e delle situazioni che ispirano tra gli altri Kusturica.

Se volete andare da quelle parti, dove parti e forse termine improprio visto che bene o male si tratta di mezza Europa, consiglio a scatola chiusa Belgrado, Istanbul e Kiev... quasi quasi Belgrado non la consiglio davvero, io l'ho adorata ma ho l'impressione che non sia proprio per tuttil... la Transilvania ha un sicuro fascino e il mare in Bulgaria può essere una meraviglia, se si evita di andare nei posti che propina l'hotelplan che sono solo una versione minore di Maiorca.

Ciò detto ricordo che in questi giorni c'è il festival di Locarno... per quel che mi riguarda gli Iraniani farebbero meglio a limitarsi ad arricchire l'uranio invece di venire ad infesciarci con dei film di cui non si capisce una mazza, però per quelli che si atteggiano ad alternativi un po' acculturati può essere una buona occasione per poter poi dire io c'ero.

pace e bene a tutti

lunedì, giugno 13, 2005

Mr. & Ms. Smith

Come il Brad e l'Angiolina ne girano pochi.

Sono belli e impossibili, sono stilosissimi, hanno sempre i capelli a posto, e se non fosse che per vivere fanno gli assassini prezzolati potrebbero sembrare i bambini ariani della Kinder un qualche venticinque anni dopo.

Perché insomma come il Brad e l'Angiolina ne girano pochi.

Purtroppo andare in giro ad ammazzare la gente è l'unico guizzo di creatività che loro capita, e siccome l'uno non sa dell'altro/a che è operante nel medesimo ramo vivono in una costante carenza di punti che li accomunano si ritrovano a discorrere con grande cordialità della imminente pericolo di sparizione corso dalle mezze stagioni; del genere che fare la transiberiana durante la stagione delle pioggie, in uno scompartimento infestato da venditori di herbalife in confronto sarebbe profondamente eccitante.

Però come il Brad e l'Angiolina ne girano pochi.

A furia di girarsene per casa decorativi ed impossibili e simulando un QI monocifra il sex appeal va a farsi benedire tanto che le icone Brad e Angiolina si ritrovano non scopanti e a raccontare gli insignificanti fatti loro dal consulente matrimoniale, non so come ma a buona parte della sala questo "anche i sex symbol alle volta hanno l'ansia da prestazione" è parso spasmodicamente divertente, forse è che non l'ho capita.

Comunque come il brad e l'Angiolina ne girano pochi.

John aka Brad, il cui socio in affari è un quantomai improbabile Vince Vaughn, opera dal retrobottega di una ditta di costruzione, Jane aka Angiolina è una simil Lara Croft a capo di una sorta di una congregazione supertecnologica di charlie's angels clonate a noia. Un bel giorno, bello perché fa sperare che nel film cominci a succedere qualcosa... qualunque cosa, i nostri ricevono due contrastanti incarichi riguardanti il medesimo bersaglio e si trovano faccia a faccia sul campo di battaglia.

Belli da morire... di noia
Il resto del film vuole i due belli che si rincorrono e si prendono a missilate, che in realtà si amano ancora ma nel frattempo sono contrariati in quanto convinti che l'altro/a sappesse che e che si fosse sposato solo per spiarlo/a, di storia ce n'è sensibilmente meno che un video degli Aerosmith.

Però come il Brad e l'Angiolina ne girano pochi.

La grave pecca di questo film non è l'insulsaggine della storia quanto piuttosto il non essere meno noioso del matrimonio di John e Jane; fatta eccezione per un inseguimento piuttosto standard ma con un buon ritmo nella parte finale del film tutto il resto è poco più che spazzatura, il film dovrebbe una commedia ma semplicemente non diverte.

Si tenga in ogni caso presente che come il Brad e l'Angiolina ne girano pochi.

Sul genere mi vengono in mente i vari Gigli, Spy Kids, Undercover Blues e Ballistic, tutti di discutibile qualità e che mai mi sarei sognato di consigliare a qualcuno cui non voglio davvero male, ma tutti migliori di questo Mr. & Ms. Smith (i cui sceneggiatori hanno dimenticato l'antico adagio volente che quando non si ha nulla da dire è saggio starsene zitti).

Concludendo è in qualunque caso doveroso ricordare che come il Brad e l'Angiolina ne girano pochi.

mercoledì, maggio 25, 2005

Episode III

Bello, non impeccabile ma bello, grazie George.

Temevo il peggio e il peggio non c'è stato; Episode III non ha nulla a che vedere con quella suprema porcheria di Phantom Menace ed è smodatamente meglio del molto medio Clone Wars.
Gli jedi riacquistano un po' della dignità perduta, Yoda è finalmente saggio, Obi Wan dimostra infine un po' di valore, l'imperatore Papaltine sembra lasci un po' troppo al caso e si ha un po' l'impressione che le cose gli vadano per il verso giusto più perché Episode IV lo esige che altro, Anakin Skywalker e Padme (già regina Amidala) pur essendo un'autentico sfacielo non riescono a sciupare l'atmosfera del film, le battaglie sono davvero massiccie e spettacolari, Jar Jar Binks lo si intravede appena, alla fine i conti tornano.

L'epica tragicità dei finali del V e del VI episodio non la si raggiunge mai, ed è un peccato visto che trattandosi di un film dal finale piuttosto amaro avrebbe avuto senso una maggior senso di ineluttabilità nella (temporanea) affermazione del male.

In breve (e col senno di poi): questa seconda trilogia di SW avrei preferito non divenisse mai cosa, visto che questo non è stato il caso Episode III è in un certo qual senso la luce alla fine del tunnel.

Ancora una volta grazie George, grazie per la trilogia, quella vera, e grazie per aver alla fine dimostrato che se anche i giorni di gloria appartengono al passato il lato oscuro ancora non ti ha consumato del tutto.

mercoledì, maggio 11, 2005

Kingdom of Heaven

La vicenda parte da un giovane fabbro di nome Bailan (Orlando Bloom) la cui moglie e figlio sono da breve passati a miglior vita. Un uggioso e nevischieggante giorno di inizio inverno questi riceve la visita di Goffredo (Liam Neeson) che con l'eleganza di un caterpillar in un negozio di swaroski gli confessa di essere suo padre visto che in gioventù aveva più o meno violentato la mamma di Orlando (aggiungendo subito però che lei diceva di no ma intendeva di sì).
Quando l'Orlando risponde laconicamente con un silenzioso "mbé" (che in lingua d'Oc significa ma a me che mi frega di 'ste tue vicende che c'ho da tirarmi le storie) papà Liam, nel tentativo di ricostruire la famiglia, lo invita ad una crociata a Gerusalemme.
L'Orlando dapprima manda a faffa e lui e le sue idee del menga, e il Liam se ne riparte alla volta dell'est con la coda tra le gambe, in serata però il prete del villagio lo viene a trovare nella sua bottega e lo inziga oltre il consentito, all'Orlando viene su il fotone e prima lo inspiedinisce con un'arnese incandescente che stava costruendo e poi gli da fuoco.
All'epoca delle crociate dare fuoco al parroco era cosa che tendeva a rendere piuttosto impopolari, il buon Orlando che era tra l'altro stato persona piuttosto devota in passato decide di andare a cercare l'espiazione andandosene in medio oriente a fare a brandelli arabi, cosa che nella Francia del XII secolo, così come nell'Alabama del XXI, veniva considerata volontà di Dio.

Il buon vecchio Orlando ne vedrà di cotte di crude laggiù, e rivelerà doti inatteste per uno che fino al giorno prima non aveva fatto che ferrare i cavalli, sarà cavalliere (dopo aver imparato a duellare in un paio di giorni, roba che neanche il cepu) ma anche rabdomante ed ingeniere agricolo e poi amante di regine e addirittura potenziale ré (rifiuterà per motivi etici) e ancora condottiero, e tutto questo nello spazio di una manciata di settimane.

La Gerusalemme del 1100 è ricostruita in modo piuttosto minuzioso, quantunque sospetti ben poco accurato dal punto di vista storico, ed il risultato è parecchio spettacolare, risulta sotto tutti gli aspetti molto più viva de, ad esempio, la Roma del Gladiatore o la Babilonia di Alexander.

le crociate vengono dipinte come una sorta di circo equestre in cui timorati di Dio chiamati al martirio, barbuti proni alla violenza, chierichetti assetati di sangue, femmine lascive, guerrieri con sbandate mistico-pacifista-tolleranti e avventurieri di ogni risma combattono fianco a fianco.
La convivenza con i mussulmani sembrerebbe anche possible, a Gerusalemme vi è un infinita varietà di lingue, accenti, costumi, tratti somatici, usi e costumi, quasi che tutti i tagliagole del mediterraneo avessero deciso di fare l'Erasmus da quelle parti lo stesso semestre.
Templari hooligani e talebani ante litteram non ne vogliono sapere di fare i buonisti new age e si adoperano in ogni modo per arrivare ai ferri corti, cosa che in un luogo in cui bene o male tutti sono dei guerrafondai non risulta così complicata, ma se così non fosse il film non avrebbe alcuna storia da raccontare.

L'Interpretazione di Orlando Bloom è stata da più parti vituperata e imputata di rendere debole il film, credo sia ingeneroso, e sono piuttosto convinto che la pecca stia nella scrittura che pretende troppo dal personaggio di Bailan minandone la credibilità; il ruolo di Sybilla (Eva Green) avrebbe potuto essere un po' più significativo, comincia bene ma finisce con l'essere più che altro decorativa (non senza meriti comunque). Bravi pure lo sconosciuto Ghassan Massoud nel ruolo del Saladino e Jeremy Irons nel ruolo del disfattista che la sa lunga.

5 anni dopo il gladiatore Ridley ritorna con un film storicheggiante visivamente davvero impressionante; bisogna dire che i ritmi non sono esattamente forsennati e ciò lascia il tempo di ammirare la ricostruzione della Palestina di 900 anni fa (personalmente vado matto per queste cose ma a chi della storia non può fregargliene di meno la cosa potrebbe risultare un zic noiosa).
Per quel che mi riguarda comunque questo Kingdom of Heaven è davvero cosa buona.

martedì, maggio 10, 2005

The Interpreter

Nicole Kidman è interprete all'ONU, nottetempo si reca nella sua cabina di traduzione a prendere cose che aveva dimenticato lì e per qualche alchimia della tecnologia fonica attuale in una cuffia sente bisbigliare un piano per assassinare qualcuno in dialetto Ku del Matobo, conosciutissimo stato dall'africa subsahariana, che solo lei al di fuori dell'Africa parla.

Dapprima non se ne cura più di tanto, nessuno sarebbe così scemo da complottare qualcosa nella sala dell'assemblea generale dell'ONU, e se anche lo fosse sicuramente si premurerebbe che i microfoni siano spenti, poi però decide di rivolgersi alla polizia.

Il punto cruciale della vicenda è che lei è in effetti cresciuta nel Matobo, ed è anche per questo che parla le lingue del luogo, ci sono altre 70 lingue che uno studierebbe prima del dialetto Ku, ivi comprese il klingon e l'elfico, e tra le altre cose ha laggiù tra gli altri un fratello iperfacinoroso che le ha tolto il saluto perché lei non lo era abbastanza, un amico fotografo e un ex-moroso, tale Xosa, trascinatore di folle che l'aveva disfesciata sulla base del fatto che se bangarsi la superbonazza bionda è divertente disfesciarla ha un che di chic.

Col passare del tempo si capisce che l'assassinando dovrebbe essere il presidenze Desmond Zuwani, uno che dovrebbe essere africano ma che in realtà ha gli occhi azurri e sembra più che altro un tedesco che si sia fatto tre mesi filati a Maiorca, un tempo benefattore e liberatore di popoli ma che col tempo ha deciso che ci si divertiva di più ad avere i rubinetti d'oro e a ordire massacri.
Zuwani è tra le altre cose responsabile della tragica morte dei genitori di Nicole Kidman.

Altro personaggio della vieppiù incomprensibile vicenda è Kuman Kuman, oppositore di Zuwani ma anche di Xosa, ex ministro in esilio a New York e fautore della globalizzazione più selvaggia ma che per mantenera una facciata di credibilità come leader popolare va in giro in autobus.

Durante il film muore parecchia gente, un sacco vengono fatti fuori da una sorta di cugino cattivo di Faithless che per esclusione ho dedotto lavori per il presidente Zuwani, altri personaggi malvagi sono un olandese che è un po' l'avvocato Kobayashi del presidente Zuwani, un interprete cretino coi ricciolini che si fa ammazzare quasi subito, e soprattutto Sean Penn.

Sean Penn è un agente dell'FBI il cui compito è proteggere i dignitari stranieri, gran frequentatori di night club a quanto pare, Sean è piuttosto incattivito con il mondo perché la sua quasi ex-moglie qualche settimana prima aveva chiesto scusa e di poter tornare a casa ma poi era passata a miglior vita schiantandosi in auto prima di poterlo effettivamente fare, quindi l'occasione di un po' di terapeutico far saltare in aria il cervello ai cattivi gli pare particolarmente ghiotta.

Dopo un sacco di morti, e dopo che Sean e Nicole si sono fatti vicendevolmente da telefono amico per svariate ore, la vicenda si chiude, il presidente cattivo e l'avvocato olandese finiscono in prigione, Nicole se ne torna in Matobo a farsi passare il mal d'Africa e Sean sul pensieroso andante si appresta a tornare a compiti quali evitare che il console inglese ubriaco fradicio si metta a guidare sulla destra.

Il film è in fondo fin mica male, regia e fotografia più che oneste (davvero suggestive alcune sequenze panoramiche di New York), la storia avrebbe anche un certo senso ma è purtroppo priva di guizzi particolari, il fatto che buona parte dei cattivi abbia dei nomi impossibili da ricordare per un europeo a volte non aiuta, che Kidman e Penn non abbiano più niente da dimostrare a nessuno non è certo una novità (con attori di calibro inferiore il film sarebbe stato probabilmente appena sopra la sufficienza), e alla fine il film risulta godibile anche se si è ben lungi da gridare al capolavoro.

mercoledì, maggio 04, 2005

Aspettando Episode III

Faccio parte di quel mezzo miliardo di persone che avrebbero ben preferito subire un giro di chiglia attorno ad una portaerei piuttosto che vedere Episode I, Episode II è stato un sollievo nel senso che ha dimostrato che forse una lenta redenzione è possibile, avrei voluto snobbare Episode III e vedermelo in segreto non appena fosse stato possibile mettere le mani su di un dvd ma poi una persona di fiducia ha chiamato dicendo che aveva i biglietti per la première (00:45 roba da stakanovisti) e come si fa a dire di no.

Non nutro sperticate speranze per quel che riguarda la qualità del film, ma sicuramente levarsi dalle palle Lucas sarà liberatorio. Va anche detto che è piuttosto strano andare a vedere un film in cui si sa che i cattivi prevarranno, considerando però che gli unici jedi non rimbambiti sono in formato fantasmino bluastro, che verrà sradicata dalla galassia l'insopportabile razzaccia di cui fa parte jar jar binks, che la faccia da sberloni di Hayden Christensen verra infine celata dietro la ben più rassicurante maschera di Darth Vader devo dire che in fondo questo Episode III non promette poi così malaccio.

venerdì, aprile 15, 2005

Manuale d'amore

In realtà più che di un film si tratta di quattro corti; prendendo spunto da un fantomatico manuale d'amore che dovrebbe aiutare a superare le fasi critiche delle relazioni vengono raccontate quttro storie di persone che si innamorano, si tradiscono, si lasciano, si reinnamorano, e via discorrendo.

Innamoramento:
Il muccino piccolo nel suo peregrinare tipico del nagotfacente si imbatte in una tussis travestita da ragazza della porta accanto travestita giovane donna sicura di sé e dei suoi obiettivi, lei lo scaga malamente e ripetutamente, lui la stalkerizza per qualche tempo e lei invece di rivolgersi alla polizia si fa sciogliere dall'azzurrognolo sguardo da cane bastonato di lui; e vissero felici e contenti.
I due piccioncini sono anche bravi però più che un film questo potrebbe sembrare la pubblicità del cornetto algida, a vispizzare un attimo la vicende c'e' fortunatamente il coinquilino del Muccino, esasperato testimone dell'appiccicosa sdolcinatezza dei due neoinnamorati.

Crisi:
Forse la parte meno di spicco di tutto il film, lui e' disattento e un po' buzzurro, lei è rompipalle e di una sensibilità isterica, non si parlano piu', non si capiscono più, e nel loro rendersi conto di essere vieppiù annoiati della loro relazione finiscono per annoiare il pubblico pagante, anche perche' la vicenda viene lasciata in sospeso e si passa alla terza parte.

Tradimento:
La parte del tradimento è viziata dalla presenza di Luciana Letizietto, che sì è persona divertente ma che con l'arte drammatica ha ben poco a che spartire; la vicenda finisce con l'essere il suo personale e rumoroso show, un po' surrealeggiante, e che non va a parare da nessuna parte. Questo cambiamento di registro che risulta essere un po' fastidioso e creato posticciamente per fare posto alla Letizzetto in una cosa in cui lei non c'entrava nulla.

Abbandono:
Verdone impersona un pediatra che qualche mese prima è stato repentinamente abbandonato dalla moglie, la quale, dopo essersi dileguata senza dire ne crepa ne sciopa, non si fa rintracciare, si nega al telefono, comunica solo attraverso l'avvocato di lui e via dicendo. Nel pieno dello smarrimento Verdone tenterà vari espedienti per uscire dalla crisi (tra le altre cose si comprerà il manuale d'amore che da il titolo al film), ed infine scoprirà che la verità dura e cruda è molto più semplice dei ghirigori di cui si era riempito la testa ma allo stesso tempo anche più dolorosa.

Il finale luminoso e ottimista serve sia ad intrecciare la quarta vicenda alla prima, Verdone dopo la sua catartica notte sulla spiaggia incontra la sorella del Muccino piccolo, sia a chiudere idealmente il cerchio visto che poco importa quanto abbia fatto male l'amore tanto si è immediatamente pronti a ricascarci (I get knocked down but I get up again direbbero i Chumbawamba, mentre il "morto un Papa se ne fa un altro" è di questi tempi un po' fuori luogo).

Concludendo il Muccino piccolo risulta simpatico, la parte centrale è purtroppo un po' debole, la Letizzetto in particolare non pare proprio sia al suo posto, Verdone fa davvero buone cose; tutto sommato è un film che si guarda con piacere.